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L'Ultima Cena ( 1494 - 1497 )

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Descrizione
Come è noto, non si tratta di un affresco, in quanto Leonardo non ha mai realizzato affreschi nel senso esatto del termine. L'affresco è caratterizzato da una pittura stesa su uno strato di intonaco ancora fresco dove, a seguito del fenomeno di carbonatazione, il pigmento della pittura diventa parte dell'intonaco stesso garantendo una grande resistenza alla pittura. Leonardo, invece, a causa dei suoi lunghi tempi realizzativi, prediligeva dipingere su muro come dipingeva su tavola; usò quindi una tempera grassa, un'emulsione di olii siccativi e sostanze proteiche. Purtroppo la tecnica impiegata ben presto determinò un degrado dell'opera già citato dal Vasari nelle Vite. Stupisce nel Cenacolo la presenza di dettagli molto precisi visibili solo da distanza ravvicinata e non individuabili dallo spettatore comune.
Conservato Presso
L'opera misura 460 x 880 cm e si trova nel refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano. Leonardo iniziò a lavorarvi nel 1495 e la completò nel 1498, come testimoniato da Luca Pacioli che in data 4 febbraio di quell'anno ne parla come di un'opera compiuta.
Le vicende storiche
  • Nella novella LVIII (1497) Matteo Bandello racconta come Leonardo lavorasse attorno al Cenacolo:
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  • « Soleva [...] andar la mattina a buon'ora a montar sul ponte, perché il cenacolo è alquanto da terra alto; solve, dico, dal nascente sole sino a l'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare e il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì che non v'avrebbe messa mano e tuttavia dimorava talora una o due ore del giorno e solamente contemplava, considerava ed essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anco veduto secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava, partirsi da mezzo giorno, quando il sole è in lione, da Corte vecchia ove quel stupendo cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Grazie ed asceso sul ponte pigliar il pennello ed una o due pennellate dar ad una di quelle figure, e di solito partirsi e andar altrove. »
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  • (Matteo Bandello, Novella LVIII)
Il soggetto dell'opera
  • Il degrado: lento ma inarrestabile
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  • Appena terminato il dipinto, Leonardo si accorse che la tecnica che aveva utilizzato mostrava subito i suoi gravi difetti: nella parte a sinistra in basso si intravedeva già una piccola crepa. Si trattava solo dell'inizio di un processo di disgregazione che sarebbe continuato inesorabile nel tempo; già una ventina di anni dopo la sua realizzazione, il Cenacolo presentava danni molto gravi, tanto che Vasari, che la vide nel maggio del 1566, scrive che "non si scorge più se non una macchia abbagliata". Per Francesco Scannelli, che scriveva nel 1642, dell'originale non era rimasto che poche tracce delle figure, e anche quelle tanto confuse che non se ne poteva ricavare alcuna indicazione sul soggetto. Le cause che provocarono quel degrado inarrestabile che ha pian piano corroso questo capolavoro furono, oltre alla tecnica utilizzata, l'umidità della parete retrostante, esposta a nord (che è il punto cardinale più facilmente attaccabile dalla condensa), il fatto che tale parete separasse un tempo il refettorio dalle cucine del convento e fosse quindi soggetta a frequenti sbalzi di temperatura, e infine proprio il fatto che il locale che ospita l'opera sia stato adibito per anni a refettorio, esponendo a lungo il dipinto agli effluvi e ai vapori dei cibi distribuiti.
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  • Per capire quanto siano stati devastanti i danni, gli esperti hanno provato a confrontare l'opera di Leonardo con una copia d'epoca eseguita da un assistente, il Giampietrino, nel 1520. L'idea è quella che, ragionevolmente, i colori originali fossero sostanzialmente simili a quelli visibili nella copia. Una sovrapposizione elettronica dei colori dell'opera del Giampietrino su una fotografia dell'opera di Leonardo consente di avere un confronto diretto, e per certi versi crudele, tra quello che è il Cenacolo oggi e come doveva probabilmente essere quando uscì dalla mano di Leonardo, e quindi avere un'idea di quello che è successo nel corso del tempo. Kenneth Clark, nell'introduzione al catalogo della mostra "Studi per il Cenacolo" scrive che in molti casi gli apostoli che vediamo oggi non sono più quelli dipinti da Leonardo:
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  • « Pietro, con la fronte bassa da criminale, è una delle figure che disturbano di più nell’intera composizione; ma le copie mostrano che la sua testa era in origine piegata indietro e vista di scorcio. Il restauratore non è stato capace di seguire questo difficile brano di disegno e così ne è uscita una deformità. Lo stesso insuccesso si verifica quando si tratta di avere a che fare con pose non comuni come quelle delle teste di Giuda e di Andrea. Le copie mostrano che Giuda era prima in profìl perdu, un fatto confermato dal disegno di Leonardo a Windsor [cat. 13]. Il restauratore l’ha rigirato, collocandolo in netto profilo e pregiudicandone così l’effetto sinistro. Andrea era quasi di profilo; il restauratore l’ha portato a una veduta convenzionale di tre quarti. E inoltre ha trasformato il dignitoso vecchio in un tipo spaventoso di ipocrisia scimmiesca. La testa di Giacomo Minore e interamente opera del restauratore, che con essa da la misura della propria inettitudine. » (Kenneth Clark, Introduzione a Studi sul Cenacolo, Electa, 1983)
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  • I vari restauri
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  • Nel 1977, dopo molti studi e ricerche, prese il via il più grande e delicato progetto di restauro mai tentato su un'opera d'arte. Un'operazione destinata a durare 20 anni, e a mobilitare scienziati, critici d'arte e soprattutto restauratori. Osservando da vicino il Cenacolo, ci si poteva rendere conto delle devastazioni che aveva subito nel corso dei tempi: la superficie era ovunque scrostata e lesionata; in milioni di interstizi microscopici si era infilata la polvere, trattenendo l'umidità delle pareti, e creando così le condizioni per la graduale e inesorabile distruzione del dipinto.
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  • Nel lavoro di ripulitura ci si è resi conto che il Cenacolo era stato in parte spalmato di cera per essere predisposto al distacco: un distacco, per fortuna mai eseguito. Sotto questo impiastro di colle, cera, polvere e vernici, si è scoperto anche il buco di un chiodo piantato nella testa del Cristo: è il punto di fuga usato da Leonardo per definire la prospettiva di tutti gli altri personaggi.
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  • La ripulitura del Cenacolo ha permesso di riscoprire anche i piedi degli apostoli sotto il tavolo, ma non quelli di Cristo. Questa parte fu infatti distrutta nel XVII secolo dall'apertura di una porta che serviva ai frati per collegare il refettorio con la cucina.
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  • Una volta eliminate le ridipitture, e ritrovata l'opera originale di Leonardo, i restauratori si erano posti il problema di come riempire le parti mancanti. In un primo tempo le zone mancanti erano state riempite semplicemente con un colore neutro; poi si è deciso di dar loro dei colori leonardeschi, basati sui frammenti ritrovati, e anche sulle copie d'epoca del Cenacolo. Tra i particolari più deteriorati e irrecuperabili si segnala la parte inferiore del viso di Giovanni dove, come scrive la restauratrice Pinin Brambilla, le narici e la bocca erano ormai "ridotte a piccoli tratti scuri". Pure il soffitto che vediamo oggi non è l'originale dipinto la Leonardo ma frutto di un totale rifacimento settecentesco che sempre secondo la restauratrice "non rispetta il sapore e il ritmo leonardeschi". Dell'originale rimane traccia solo in una sottile fascia a destra, che evidenzia come i cassettoni in origine fossero più larghi, profondi e caratterizzati da modanature con sottili fascie rosse e lacunari dal fondo blu-azzurro[1].
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  • Tutte le tecniche di conservazione sono state messe in opera per salvare questo capolavoro che ha rischiato di morire più volte nel corso della storia: il refettorio fu prima trasformato in bivacco e stalla dai soldati di Napoleone, poi bombardato durante la seconda guerra mondiale; infatti nell'agosto del 1943 venne distrutta la volta del refettorio durante un bombardamento aereo, ma il Cenacolo rimase miracolosamente salvo tra cumuli di macerie, protetto solo da un breve tetto e da una difesa di sacchi di sabbia ed esposto ad ogni rischio atmosferico.
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  • Oggi, l'opera ha guadagnato dei particolari che appaiono dotati di una luminosità e freschezza cromatica finora insospettate. Il colore è usato nei toni della luce. Luce le cui sorgenti sono una finestra reale del refettorio e le tre dipinte sul fondo, che si aprono su un cielo teso all'imbrunire. Un particolare aspetto fino ad oggi trascurato ed emerso dal restauro Brambilla è la presenza di un paesaggio ben preciso che, secondo uno studio recente potrebbe appartenere al territorio dell'alto Lario. In particolare è apparsa una Chiesa con un campanile ottagonale che può essere identificata nell'antica abbazia cluniacense di Piona[2]. L'opera venne dichiarata nel 1980 patrimonio dell'umanità dall'Unesco, e insieme ad essa venne protetta anche la chiesa e il limitrofo convento domenicano (la motivazione della nomina dei due edifici fa esplicita menzione dell'affresco).
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  • Le copie
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  • Oltre a quella già citata del Giampietrino (proveniente dalla Certosa di Pavia, acquistata nel 1821 dalla Royal Academy di Londra, purtroppo tagliata nella parte superiore e oggi esposta al Magdalen College di Oxford), esistono diverse altre copie a grandezza naturale dell'opera di Leonardo, tra le più conosciute quella conservata nella Chiesa Minorita di Vienna e quella esposta nel DaVinci Museum dell'abbazia belga di Tongerlo. In Ticino una copia realizzata da un allievo di Leonardo si trova nella chiesa parrocchiale di Ponte Capriasca, vicino a Lugano. Un'altra copia, leggermente più piccola ma di grande pregio ed interesse, è quella attribuita a Marco d’Oggiono (c. 1520, olio su tela, cm 549x260) ora al Musée de la Renaissance nel Castello di Ecouen (poco a nord di Parigi), di proprietà del Louvre. Anche il museo dell'Hermitage di San Pietroburgo possiede una copia dell'Ultima cena attribuita genericamente ad un "artista lombardo" del XVI secolo, forse l'unica in cui appare il soffitto come probabilmente era in origine, con i lacunari contornati da sottili righe colorate.
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  • [21]Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà». [22]I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse. [23]Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. [24] Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: «Dì, chi è colui a cui si riferisce?». [25]Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». [26]Rispose allora Gesù: «E' colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò». E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. (vangelo di Giovanni, capitolo 13)
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  • Il tema, forse suggerito a Leonardo dai domenicani del convento di Santa Maria delle Grazie, è quello del momento più drammatico del vangelo di Giovanni (Gv. 13,21 e seguenti), quello in cui Cristo proferisce la frase: "Uno di voi mi tradirà" e da queste parole gli apostoli si animano drammaticamente, i loro gesti sono di stupore e di meraviglia; c'è chi si alza perché non ha percepito le parole, chi si avvicina, chi inorridisce, chi si ritrae, come Giuda Iscariota, sentendosi subito chiamato in causa.
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  • Pietro (quarto da sinistra) con la mano destra impugna il coltello, come in moltissime altre raffigurazioni rinascimentali dell'ultima cena, e, chinandosi impetuosamente in avanti, con la sinistra scuote Giovanni chiedendogli "Dì, chi è colui a cui si riferisce?" (Gv. 13,24). Giuda, davanti a lui, stringe la borsa con i soldi ("tenendo Giuda la cassa" si legge in Gv. 13,29), indietreggia con aria colpevole e nell'agitazione rovescia la saliera. All'estrema destra del tavolo, da sinistra a destra, Matteo, Giuda Taddeo e Simone esprimono con gesti concitati il loro smarrimento e la loro incredulità. Giacomo il Maggiore (quinto da destra) spalanca le braccia attonito; vicino a lui Filippo porta le mani al petto, protestando la sua devozione e la sua innocenza. Al centro è raffigurato Cristo con le braccia aperte che, in un gesto di quieta rassegnazione, costituisce l'asse centrale della composizione.
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  • Le figure degli apostoli sono rappresentate in un ambiente che, dal punto di vista geometrico, è estremamente preciso. Attraverso semplici espedienti prospettici (la quadratura del pavimento, il soffitto a cassettoni, gli arazzi appesi alle pareti, le tre finestre del fondo e la posizione della tavola) si ottiene l'effetto di sfondamento della parete su cui si trova il dipinto, tale da mostrarlo come un ambiente nell'ambiente del refettorio stesso.
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  • La probabilità che certi particolari della composizione possano essere stati suggeriti dai domenicani (forse dallo stesso priore Vincenzo Bandello) è data dal fatto che questo ordine religioso dava grande importanza all'idea del libero arbitrio: l'uomo non sarebbe predestinato al bene o al male ma può scegliere tra le due possibilità.[4] Giuda infatti nel dipinto di Leonardo è raffigurato in modo differente dalla grande maggioranza delle ultime cene dell'epoca, dove lo si vede da solo, al di qua del tavolo. Leonardo raffigura invece Giuda assieme agli altri apostoli, e così aveva fatto pure il domenicano fra Giovanni Angelico (detto Beato Angelico), nell'Ultima cena del Convento di San Marco a Firenze, lasciandogli l'aureola al pari degli altri. Altra evidente differenza tra l'opera di Leonardo e quasi tutte le ultime cene precedenti è il fatto che Giovanni non è adagiato nel grembo o sul petto di Gesù (Gv. 13,25) ma è separato da lui, nell'atto di ascoltare la domanda di Pietro, lasciando così Gesù solo al centro della scena. Che la scena raffigurata da Leonardo derivi dal quarto vangelo è intuibile, oltre che dal "dialogo" tra Pietro e Giovanni, dalla mancanza del calice sulla tavola. Diversamente dagli altri tre, detti vangeli sinottici, nel quarto non è descritta la scena che viene ricordata durante la messa al momento della consacrazione: "Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati" (Matteo 26,27). Giovanni, dopo l'annuncio del tradimento, scrive invece così: "Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri." (Gv. 13,34).
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  • L' Ultima cena esoterica
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  • Una diversa lettura del dipinto è richiamata dal popolare romanzo giallo Il codice da Vinci dello scrittore Dan Brown. Secondo tale ipotesi, che vuole dare un significato esoterico al dipinto, e che Dan Brown ha ricavato dai precedenti libri di Lynn Picknett e Clive Prince (Turin Shroud e La Rivelazione dei Templari)[5], il discepolo alla destra di Gesù Cristo sarebbe da interpretare, complici i tratti femminei del volto, come una donna, con cui Leonardo avrebbe voluto rappresentare Maria Maddalena. Tale interpretazione è funzionale alla trama del romanzo. Nella narrazione alcuni particolari dell'affresco, quali l'opposta colorazione degli abiti di Gesù e della presunta Maria Maddalena, l'assenza dell'unico calice citato nel Nuovo Testamento (tutti i commensali, compreso Gesù Cristo, hanno un piccolo bicchiere di vetro senza stelo), la mano posata sul collo della presunta donna come per tagliarle la gola e infine la presenza di un braccio con la mano che impugna un coltello e che si dice non appartenga ad alcun soggetto ritratto nel quadro, sono utilizzati per cercare di dimostrare che Maria Maddalena fosse la possibile amante di Gesù, un'ipotesi respinta dalla Chiesa, in quanto sminuente della divinità di Gesù.
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  • Questa interpretazione del dipinto è tuttavia confutabile attraverso un'attenta analisi dell'opera, basata sull'episodio dell'ultima cena narrato nel vangelo di Giovanni. Il coltello "misterioso" è infatti impugnato da Pietro[6], così come in innumerevoli altri dipinti rinascimentali con questo stesso soggetto (Domenico Ghirlandaio, Luca Signorelli, Pietro Vannucci detto il Perugino, Andrea del Castagno, Jacopo Bassano, Jean Huguet, Giovanni Canavesio, solo per citarne alcuni) ed è in diretto rapporto con la scena successiva, in cui l'apostolo con quel coltello (una machaira, ovvero un grosso coltello con la lama ricurva, nel testo originale greco) taglierà l'orecchio a Malco, il servo del Gran Sacerdote (Gv 18:10). In questo caso Pietro tiene il braccio piegato dietro la schiena, col polso appoggiato all'anca, posa riscontrabile in tutte le numerosissime copie dell'Ultima cena e in uno schizzo dello stesso Leonardo.[7] Del calice col vino non si fa parola nel vangelo di Giovanni, nel quale, a differenza dei tre sinottici, non è neppure narrata l'istituzione dell'Eucaristia; la mano di Pietro posata sulla spalla di Giovanni è il gesto narrato nello stesso quarto vangelo, in cui si legge che Pietro fa un cenno all'apostolo più giovane e gli chiede chi possa essere il traditore (Gv 13:24). L'aspetto di Giovanni infine fa parte dell'iconografia dell'epoca,[8] riscontrabile non solo nell'opera di Leonardo ma in tutte le "ultime cene" dipinte da altri artisti tra il XV e il XVI secolo, in cui si rappresentava l'apostolo più giovane (il "prediletto" secondo lo stesso quarto vangelo) come un adolescente dai capelli lunghi e dai lineamenti dolci che oggi possono sembrare effeminati ma che all'epoca erano la consuetudine. In particolare ricordiamo che nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, voluminoso repertorio duecentesco di vite di santi ed episodi evangelici, usatissimo come fonte di soggetti per le opere d'arte, Giovanni viene descritto come un "giovane vergine" il cui nome "significa che in lui fu la grazia: in lui infatti ci fu la grazia della castità del suo stato virginale".[9] Anche la mancanza delle aureole, che a certi scrittori di mistero è parsa "sospetta"[10], in realtà non ha nessuna valenza eretica. Tanti altri artisti prima di Leonardo, soprattutto di area nord-europea, non avevano dipinto le aureole in molte opere di soggetto sacro. Un esempio famoso è l'Ultima cena dell'olandese Dieric Bouts, dipinta attorno al 1465. Tra gli artisti italiani che spesso hanno "dimenticato" le aureole possiamo citare Giovanni Bellini e Antonello da Messina.
L'Ultima cena (detta anche il Cenacolo) è un dipinto di Leonardo da Vinci eseguito per il suo patrono, il Duca di Milano Lodovico Sforza. Rappresenta la scena dell'Ultima Cena di Gesù Cristo, come descritta nella Bibbia. Il dipinto si basa sul Vangelo di Giovanni 13:21, nel quale Gesù annuncia che verrà tradito da uno dei suoi discepoli.
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