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Ringraziamenti

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  • Fabio Perboni
  • Stefano Cassinelli
  • Enrico Proserpio
  • Giorgio Vailati
  • Francesco Piccioli

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Vergine delle Rocce ( 1483 - 1486 )

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Descrizione
  • La scena si svolge in un paesaggio roccioso, orchestrato architettonicamente, in cui dominano fiori e piante acquatiche; da lontano si intravede un corso d'acqua. La Vergine con una mano avvicina a sé in un abbraccio il piccolo Giovanni Battista, mentre tiene l'altra sulla testa di Gesù. L'angelo guarda verso l'osservatore con un lieve sorriso ed indica verso San Giovannino. La fortuna di questa composizione fu enorme, si conoscono infatti innumerevoli copie di mano di artisti italiani e stranieri. In particolare, un dipinto ospitato nella chiesa di Santa Giustina a Affori (Milano) è stato, molto probabilmente, eseguito da Ambrogio de Predis, socio di Leonardo alla corte sforzesca, negli stessi anni in cui i due collaboravano per la realizzazione del celebre dipinto.
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  • Tra le tante derivazioni del tema va segnalata anche la cosiddetta "terza versione" del quadro (versione Cheramy), custodita in una collezione privata in Svizzera e da alcuni (tra cui C. Pedretti) attribuita alla mano dello stesso Leonardo da Vinci.
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  • Questo dipinto si discosta dal quadro conservato alla National Gallery di Londra per alcuni particolari, quali:
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  • » L'angelo con un mantello rosso indica con il dito San Giovannino (il bambino con le mani giunte accanto alla madonna)
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  • » Lo sguardo dell'angelo è rivolto verso l'osservatore mentre nell'altra versione è indirizzato verso San Giovannino.
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  • » San Giovannino non ha la croce
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  • » La Vergine, il Bambino e San Giovannino non hanno le aureole che invece compaiono nel quadro a Londra.
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  • » I colori di questa versione sono più cupi di quelli utilizzati da Leonardo nel quadro che (ri)dipinse successivamente.
Conservato Presso
Al Musée du Louvre di Parigi.
Le vicende storiche
  • L'opera fu commissionata dalla Confraternita dell'Immacolata Concezione, una confraternita laica maschile che aveva sede presso la chiesa di San Francesco Grande a Milano. Il contratto per un trittico, stipulato il 21 aprile 1483 tra la Confraternita e gli artisti Leonardo da Vinci e i fratelli Evangelista ed Ambrogio De Predis, richiedeva per il dipinto centrale uno sfondo di montagne e rocce, al centro la Madonna con un ricco abito di "broccato doro azurlo tramarino" e "con lo suo fiollo", Dio padre in alto, anche lui con la "vesta de sopra brocato doro", un gruppo di angeli alla "fogia grecha" e due profeti. Nelle due parti laterali i confratelli chiedevano quattro angeli, "uno quadro che canteno et l'altro che soneno". [1]
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  • Il soggetto effettivamente dipinto fu però un altro, l'incontro dei piccoli Gesù e Giovanni narrato nella Vita di Giovanni secondo Serapione[2]e in altri testi sull'infanzia di Cristo, molto conosciuto all'epoca tanto da essere stato dipinto da quasi tutti gli artisti rinascimentali. Potrebbe essere stato Leonardo a decidere arbitrariamente le modifiche, ma è possibile che, viste le consuetudini dell'epoca, siano state le richieste dei committenti a cambiare anche in considerazione dello stile un po' "arcaico" della prima richiesta. Nel nuovo soggetto dell'opera vengono eliminati Dio padre, i profeti e gli angeli "alla foggia greca", ma vengono aggiunti il piccolo Giovanni Battista e l'angelo protettore. Due soli angeli musicanti vennero dipinti da Ambrogio De Predis nelle ali laterali (oggi sono conservati alla National Gallery di Londra), mentre Evangelista de Predis si occupò di rifinire l'ancona con cornici, capitelli e preziose dorature.
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  • Spesso si è letto che, a causa dell'inadempienza contrattuale legata al soggetto, la Confraternita contestò il dipinto considerandolo incompiuto, o addirittura eretico. Studi più precisi, basati sui documenti d'archivio relativi alla controversia legale che oppose gli artisti ai committenti, hanno permesso di delineare una vicenda diversa. In una supplica al Duca di Milano, datata dagli esperti tra il 1493 e il 1494, Leonardo da Vinci e Ambrogio De Predis richiedono che l'opera debba essere pagata più della cifra pattuita inizialmente (200 ducati) in quanto la realizzazione, soprattutto a causa della complessa ancona dorata e intagliata, sarebbe stata molto più laboriosa e dispendiosa. Gli artisti dunque chiedono un conguaglio di 100 ducati per il dipinto centrale ma se ne vedono offrire solo 25. Propongono allora che vengano nominati degli "esperti dell'Arte" che giudichino il lavoro oppure che i committenti "lasano ali dicti exponenti dicta nostra dona fata a olio" per la quale hanno già ricevuto diverse offerte di cento ducati "da persone quale hano voluto comprare dicta nostra dona". Questo ha fatto supporre alcuni che la prima versione della Vergine delle rocce non sia mai arrivata alla cappella dell'Immacolata, ma sia rimasta nello studio degli artisti.[3], mentre altri hanno sostenuto che l'opera fosse già stata posta in opera e che gli artisti ne stessero chiedendo la restituzione.[4] La diatriba tra Leonardo e la Confraternita si trascinò così per molti anni e fu chiusa nel 1506 da una sentenza con cui l'opera è dichiarata ufficialmente "incompiuta". Leonardo è tenuto a portarla a termine entro due anni, ma gli viene riconosciuto un conguaglio di 200 lire (corrispondenti a 50 ducati, la metà di quanto aveva inizialmente richiesto).[5]
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  • A questo punto effettivamente non si sa con precisione cosa possa essere successo, perché la pala venduta dopo la soppressione della Confraternita nel 1785 è quella che oggi è conservata alla National Gallery di Londra, non la versione del Louvre. Molte ipotesi sono state proposte dagli storici dell'arte. Secondo le più accreditate la prima versione sarebbe stata venduta a qualcuno che durante la lunga disputa legale aveva fatto generose offerte d'acquisto, forse lo stesso duca Ludovico il Moro che l'avrebbe poi esposta nella cappella del palazzo ducale, e sarebbe poi caduta nelle mani dei francesi assieme a tutte le sue proprietà.[6] L'artista, assieme ai collaboratori, ne avrebbe realizzata una nuova versione (quella oggi conservata a Londra, alla National Gallery) per accontentare la Confraternita. Nella seconda versione la Madonna appare più grande e maestosa, i due bambini sono più riconoscibili e soprattutto è sparito l'inconsueto gesto della mano dell'angelo che nella prima versione indicava Giovanni. I classici attributi della iconografia tradizionale, come le aureole e il bastone con la croce del Battista, sarebbero stati aggiunti molti anni più tardi, probabilmente nei primi decenni del XVII secolo.[7]
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  • Secondo una ipotesi recente [8] le due versioni della Vergine delle rocce sarebbero state realizzate per due diversi luoghi e committenti nella stessa città di Milano: la prima per la cappella palatina della chiesa di San Gottardo, e la seconda per la cappella dell'Immacolata nella chiesa di San Francesco Grande. In questo caso risulterebbe però difficile da spiegare il fatto che le due opere non solo abbiano lo stesso soggetto, ma perfino la stessa sagoma centinata e le stesse dimensioni. Quella forma e quelle misure erano infatti necessarie perché il dipinto doveva essere inserito nell'ancona lignea già predisposta da Giacomo del Maino prima dell'arrivo di Leonardo a Milano. Oltre a ciò, apparirebbe poco spiegabile come mai l'opera possa essere stata definita "Nostra Donna facta da dicto fiorentino", quindi già finita, nel 1493 (data della richiesta di restituzione o di conguaglio), e non finita nella sentenza del 1506 in cui si concedono a Leonardo ben due anni di tempo per portarla a termine.
Il soggetto dell'opera
  • La scena raffigura l'incontro tra il piccolo Gesù e il cugino Giovanni Battista, un episodio che non è narrato nei vangeli canonici ma deriva principalmente dalla Vita di Giovanni secondo Serapione e, per certi particolari come l'ambientazione in un paesaggio roccioso, da episodi tratti da vangeli apocrifi e altri testi devozionali, all'epoca fonti molto utilizzate per l'elaborazione dei soggetti di arte sacra. I pittori, ma soprattutto i committenti religiosi, mescolavano infatti racconti tratti da testi diversi, come ad esempio la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze, Meditaciones vite Christi di Giovanni de Cauli, o i molti apocrifi dell'infanzia.[9]
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  • Nell'apocrifo Protovangelo di Giacomo si legge che Elisabetta, la madre di Giovanni, seppe che Erode voleva uccidere tutti i bambini, così prese il figlio e fuggì su una montagna. Guardandosi attorno e non trovando un rifugio, invocò Dio e in quel momento «il monte si aprì in una cavità e l'accolse (...) e una luce vi traspariva per loro, perché presso di loro c'era un angelo del Signore che li custodiva.»[10] Nella Natività di Maria e Gesù (o Libro dell'infanzia del Salvatore), secondo il Codice Arundel 404 (A102), troviamo una scena successiva ambientata sulla montagna: «Giovanni si trovava con sua madre Elisabetta nel deserto, nella fessura del monte altissimo, e l'angelo di Dio li nutriva. Nel deserto, Giovanni si irrobustiva. Il suo cibo era poi costituito da locuste di campo e miele selvatico; il suo vestito era fatto di peli di cammello, e portava ai fianchi una cintura di pelle.» Nella Vita di Giovanni secondo Serapione,[11] si assiste all'incontro tra i due bambini. Gesù vede Giovanni in lacrime vicino alla madre Elisabetta morta dopo cinque anni di peregrinazioni tra montagne e deserti e gli dice di non disperarsi perché «io sono Gesù Cristo, tuo maestro. Io sono Gesù, tuo parente. Sono venuto da te con la mia madre diletta per preparare la sepoltura della benedetta Elisabetta tua madre felice. Ella è parente di mia madre. Quando il benedetto e santo Giovanni udì questo, si volse. Il signore Cristo e la sua vergine madre lo abbracciarono.» Secondo questo racconto Gesù e la madre si fermano sette giorni; nel ripartire, vedendo che la madre piange per la solitudine del piccolo Giovanni, Gesù le dice che non deve preoccuparsi perché questo è il volere di Dio, e aggiunge «Qui c'è pure Gabriele, il capo degli angeli: gli ho dato l'incarico di proteggerlo e di elargirgli potere dal cielo. Io inoltre gli renderò l'acqua di questa sorgente dolce e deliziosa come il latte che succhiò dalla madre.» Un testo dell'inizio del Trecento che riprende ed elabora anche vicende tratte dagli apocrifi, e che come quelli fu utilizzato molto spesso come fonte di soggetti di arte sacra, è la Meditaciones vite Christi. Per lungo tempo venne attribuito a san Bonaventura ma la critica recente lo ha restituito al suo autore, il francescano Giovanni de Cauli. Nel brano dedicato al ritorno dalla fuga in Egitto leggiamo che Gesù e Maria «incontrarono Giovanni Battista che già qui aveva cominciato a fare penitenza, pur non avendo alcun peccato. Si dice che il luogo del Giordano nel quale Giovanni battezzò è quello da dove passarono i figli d'Israele quando vennero dall'Egitto per detto deserto; e che presso quel luogo nello stesso deserto Giovanni fece penitenza. Da cui è possibile che il bimbo Gesù passando da lì nel suo ritorno trovò lui nel medesimo luogo.»[12]
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  • Ecco dunque che i personaggi raffigurati nel dipinto di Leonardo, i loro gesti e l'apparentemente bizzarra ambientazione con montagne, corsi d'acqua e caverne rocciose trovano una spiegazione. Possiamo infine ricordare che Giovanni Battista era il protettore, assieme a San Francesco, della Confraternita dell'Immacolata. La Confraternita quindi si riconosceva nella figura del Battista, inginocchiata davanti a Gesù, da lui benedetta e allo stesso tempo protetta dalla Vergine Maria.[13]
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La Vergine delle rocce (Madonna col Bambino, San Giovannino e un angelo) è un dipinto ad olio su tavola (di cm 199 x 122) realizzato tra il 1483 ed il 1486 dal pittore Leonardo da Vinci.
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