Ringraziamenti
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- Francesco Piccioli
A Milano (1482–1500) |
La Biografia di Leonardo Da Vinci A Milano (1482–1500) «Aveva trent'anni» – scrive l'Anonimo – «che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato al duca di Milano a presentarli insieme con Atalante Migliorati una lira, che unico era in suonare tale strumento». È a Milano che Leonardo scrisse la cosiddetta lettera d'impiego a Ludovico il Moro (in realtà, sentendosi inadeguato nel suo modo di esprimersi, la fece scrivere da un cosiddetto "uomo di cultura"), conservata nel suo Codice Atlantico, descrivendo innanzitutto i suoi progetti di apparati militari, di opere idrauliche, di architettura, e solo alla fine, di pittura e scultura, tra cui il progetto di un cavallo di bronzo per un monumento a Francesco Sforza. Il 25 aprile 1483, con i fratelli pittori Evangelista e Giovanni Ambrogio De Predis, da una parte, e Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione, dall'altra, stipulò il contratto per una pala da collocare sull'altare della cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande; è il primo documento, relativo alla Vergine delle rocce, che attesta la sua presenza a Milano, ospite dei fratelli De Predis a Porta Ticinese. Il contratto prevedeva tre dipinti, da finire entro l'8 dicembre, da collocarsi in una grande ancona per un compenso complessivo di 800 lire da pagarsi a rate fino al febbraio 1485. La tavola centrale avrebbe dovuto rappresentare una Madonna col Bambino con due profeti e angeli, le altre due, quattro angeli cantori e musicanti. In una supplica a Ludovico il Moro, databile al 1493, dalla quale si evince che l'opera era stata compiuta almeno entro il 1490 – ma la critica la considera comunque finita entro il 1486 – Leonardo e Ambrogio De Predis (Evangelista morì alla fine del 1490 o all'inizio del 1491) chiedevano un conguaglio di 1200 lire, rifiutato dai frati. La lite giudiziaria si trascinò fino al 27 aprile 1506, quando i periti stabilirono che la tavola era incompiuta e, stabiliti due anni per terminare il lavoro, concessero un conguaglio di 200 lire; il 23 ottobre 1508 Ambrogio incassò l'ultima rata e Leonardo ratificò il pagamento. Sembrerebbe che Leonardo, dato il mancato pagamento delle 1.200 lire da parte della Confraternita, avesse venduto per 400 lire la tavola, ora al Louvre, al re di Francia Luigi XII, mettendo a disposizione, durante la lite giudiziaria, una seconda versione de La Vergine delle Rocce, che rimase in San Francesco Grande fino allo scioglimento della Confraternita nel 1781 ed è ora conservata alla National Gallery di Londra, insieme con le due tavole del De Predis. Intanto, nel 1485 Ludovico il Moro gli aveva commissionato un dipinto da inviare in dono al re d'Ungheria Mattia Corvino. Nei due anni successivi ricevette pagamenti per il progetto del tiburio del duomo di Milano. Nei primi mesi del 1489 si occupò delle decorazioni, nel Castello Sforzesco, per le nozze di Gian Galeazzo Sforza e Isabella d'Aragona, presto interrotti per la morte della madre della sposa, Ippolita d'Aragona, e scrisse sul libro titolato de figura umana. Il 22 luglio Pietro Alamanni comunicò a Lorenzo il Magnifico la richiesta di Leonardo di ottenere la collaborazione di fonditori in bronzo fiorentini. Il 13 gennaio 1490 riprendevano i festeggiamenti per le nozze Sforza - Aragona, nei quali, scrisse il poeta Bernardo Bellincioni nel 1493, «si era fabricato, con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino, il paradiso con tutti li sette pianeti che giravano e li pianeti erano rappresentati da uomini»; il 21 giugno andò a Pavia insieme con Francesco di Giorgio Martini, su richiesta dei fabbricieri del Duomo. Intorno all'ultimo decennio del secolo risalgono gli importanti dipinti a cavalletto della Madonna Litta di San Pietroburgo, del Ritratto di musico (Josquin des Prez o Franchino Gaffurio) alla Pinacoteca Ambrosiana, del Ritratto di donna, detto La Belle Ferronnière del Louvre e della Dama con l'ermellino (Ritratto di Cecilia Gallerani), di Cracovia. Nel 1491 prese al suo servizio Gian Giacomo Caprotti, da Oreno, di dieci anni, detto Salai – diavolo, un soprannome tratto dal Morgante del Pulci - che Leonardo definirà "ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto", ma tratterà sempre con indulgenza. Curò i festeggiamenti per le nozze di Ludovico il Moro e Beatrice d'Este e per quelle di Anna Sforza e Alfonso I d'Este. Nel 1493, per un tratto al seguito del corteo che accompagna in Germania Bianca Maria Sforza, sposa dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo, si recò sul lago di Como, visitò la Valsassina, la Valtellina e la Valchiavenna. Il 13 luglio sembra aver ricevuto la visita della madre Caterina; eseguì in creta la statua equestre per Francesco Sforza, la cui fusione fallì l'anno dopo. Iniziò nel 1495 l'Ultima Cena, nel refettorio di Santa Maria delle Grazie e la decorazione dei camerini in Castello Sforzesco che interruppe nel 1496; a quest'anno, da una sua nota di spese per una sepoltura, si è dedotta la morte della madre. Nella sua LVIII novella, Matteo Bandello, che ben conosce Leonardo, scrisse di averlo spesso visto «la matina a buon'hora a montar su'l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva dal nascente Sole sino all'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì, che non v'averebbe messo mano, e tuttavia dimorava talhora una o due ore al giorno e solamente contemplava, considerava et essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anche veduto (secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava) partirsi da mezzogiorno, quando il Sole è in Leone, da Corte vecchia» - sul luogo dell'attuale Palazzo Reale - «ove quel stupendo Cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Gratie: et asceso sul ponte pigliar il pennello, et una o due pennellate dar ad una di quelle figure e di subito partirse et andare altrove». A Milano Leonardo trascorse il periodo più lungo della sua vita, quasi 20 anni. Sebbene all'inizio della sua permanenza egli debba aver incontrato diverse difficoltà con la lingua parlata dal popolo (ai tempi la lingua italiana quale "toscano medio" non esisteva, tutti parlavano solo il proprio dialetto), gli esperti ritrovano nei suoi scritti risalenti alla fine di questo periodo addirittura dei "lombardismi". |