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Il ritorno a Firenze (1501–1508) PDF Stampa E-mail

La Biografia di Leonardo Da Vinci

La giovinezza (1452–1481) - A Milano (1482–1500) - Il ritorno a Firenze (1501–1508) - Gli ultimi anni (1509–1519)

Il ritorno a Firenze (1501–1508)
Del 2 ottobre 1498 è l'atto notarile col quale Ludovico il Moro gli donò una vigna tra i monasteri di Santa Maria delle Grazie e San Vittore. Nel marzo 1499 si sarebbe recato a Genova insieme con Ludovico, sul quale si addensava la tempesta della guerra che egli stesso aveva contribuito a provocare; mentre il Moro era a Innsbruck, cercando invano di farsi alleato l'imperatore Massimiliano, Luigi XII conquistò Milano il 6 ottobre 1499. Il 14 dicembre Leonardo fece depositare 600 fiorini nello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze e abbandonò Milano con Salai e il matematico Luca Pacioli, soggiornando prima a Vaprio d'Adda, presso Bergamo, nella villa di Francesco Melzi poi, passando per Mantova, ospite di Isabella d'Este, della quale eseguì due ritratti a carboncino, giunse a Venezia nel marzo 1500.

Nell'aprile 1501 fu a Firenze, ospite dei frati Serviti nella Santissima Annunziata; qui disegnò il primo cartone della Sant'Anna, la Madonna, il Bambino e san Giovannino, ora a Londra; in due lettere, Isabella d'Este chiese al carmelitano Pietro di Nuvolaria un ritratto da Leonardo o, in subordine, «un quadretto de la Madonna devoto e dolce como è il suo naturale», ma il frate le rispose che «li suoi isperimenti matematici l'hanno distratto tanto dal dipingere che non può patire il pennello».

Passato alle dipendenze di Cesare Borgia come architetto e ingegnere, lo seguì nel 1502 nelle guerre portate da questi in Romagna; in agosto è a Pavia, e ispezionò le fortezze lombarde del Borgia. Dal marzo 1503 fu nuovamente a Firenze, dove iniziò La Gioconda e una perduta Leda; ad aprile riceve l'incarico dell'affresco della Battaglia di Anghiari nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio e a luglio fu a Pisa, assediata dai fiorentini, insieme a Gerolamo da Filicaja e Alessandro degli Albizi per studiare la deviazione del fiume Arno e impantanare alcune zone limitrofe alla città.

In questo periodo probabilmente dipinse la Gioconda. Portata con sé in Francia, fu vista ancora nel Castello di Cloux, residenza di Leonardo, e descritta da Antonio de Beatis, il 10 ottobre 1517, come «certa donna Fiorentina, facta di naturale ad istantia di quondam magnifico Juliano de' Medici», mentre Cassiano del Pozzo a Fontainebleau, nel 1625, scrive di «un ritratto della grandezza del vero, in tavola, incorniciato di noce intagliato, a mezza figura ed è ritratto di tal Gioconda. Questa è la più completa opera che di questo autore si veda, perché dalla parola in poi altro non gli manca».

Identificata tradizionalmente come Lisa Gherardini, nata nel 1479, moglie di Francesco Bartolomeo del Giocondo, il dipinto, considerato il ritratto più famoso del mondo, non è tanto o soltanto un ritratto. Come il paesaggio che le sta alle spalle non è soltanto un paesaggio, reale o fantastico, ma è la natura, nel suo aspetto solido, liquido, atmosferico, così la figura è l'elemento umano della natura, è natura umanizzata: la straordinarietà del dipinto non sta nella bellezza individuale della donna ritratta - che infatti non è particolarmente bella in sé - ma nell'aver individuato nella figura umana la realizzazione dello sviluppo della natura, che da quella non si distingue ma si dà come parte preminente di essa. Il famoso sorriso può così semplicemente intendersi come consapevolezza di sé, in quanto essere naturale in armonia ed equilibrio in una realtà che ha la sua stessa sostanza.

Così, per il De Tolnay, «nella Gioconda, l'individuo - una sorta di miracolosa creazione della natura - rappresenta al tempo stesso la specie: il ritratto, superati i limiti sociali, acquisisce un valore universale. Leonardo ha lavorato a quest'opera sia come ricercatore e pensatore sia come pittore e poeta; e tuttavia il lato filosofico-scientifico restò senza seguito. Ma l'aspetto formale - l'impaginazione nuova, la nobiltà dell'atteggiamento e la dignità del modello che ne deriva - ebbe un'azione risolutiva sul ritratto fiorentino delle due decadi successive [...] Leonardo ha creato con la Gioconda una formula nuova, più monumentale e al tempo stesso più animata, più concreta, e tuttavia più poetica di quella dei suoi predecessori. Prima di lui, nei ritratti manca il mistero; gli artisti non hanno raffigurato che forme esteriori senza l'anima o, quando hanno caratterizzato l'anima stessa, essa cercava di giungere allo spettatore mediante gesti, oggetti simbolici, scritte. Solo nella Gioconda emana un enigma: l'anima è presente ma inaccessibile».

Il 9 luglio 1504 morì il padre Piero; Leonardo annotò più volte la circostanza, in apparente agitazione: «Mercoledì a ore 7 morì Ser Piero da Vinci, a dì 9 luglio 1504, mercoledì vicino alle ore 7» e ancora, «Addì 9 di luglio 1504 in mercoledì a ore 7 morì Piero da Vinci notaio al Palagio del Podestà, mio padre, a ore 7. Era d'età d'anni 80. Lasciò 10 figlioli maschi e due femmine». Il padre non lo fece erede e, contro i fratelli che gli opponevano l'illegittimità della sua nascita, Leonardo chiese invano il riconoscimento delle sue ragioni: dopo la causa giudiziale da lui promossa, solo il 30 aprile 1506 avvenne la liquidazione dell'eredità di Piero da Vinci, dalla quale Leonardo fu escluso.

Fece parte della commissione che doveva decidere dove collocare il David di Michelangelo e ricevette pagamenti dalla Repubblica fiorentina per la Battaglia di Anghiari fino al febbraio 1505: preparato il cartone, sulla scorta delle notizie ricavate dalla Historia naturalis di Plinio il Vecchio, e tentò un encausto; preparò il muro a stucco della Sala di Palazzo Vecchio ove riprodurre l'opera, ma il fuoco acceso, che doveva fissare la sua Battaglia, non fu sufficiente e i colori colarono sulla parete. Perduto il cartone, le ultime tracce dell'opera furono probabilmente coperte nel 1557 dagli affreschi del Vasari.

 
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