4 visitatori online

Ringraziamenti

  • Slavisa Pesci
  • Anna Coffrini
  • Daniele Cerutti
  • Fabio Perboni
  • Stefano Cassinelli
  • Enrico Proserpio
  • Giorgio Vailati
  • Francesco Piccioli

Partners

Gli ultimi anni (1509–1519) PDF Stampa E-mail

La Biografia di Leonardo Da Vinci

La giovinezza (1452–1481) - A Milano (1482–1500) - Il ritorno a Firenze (1501–1508) - Gli ultimi anni (1509–1519)

Gli ultimi anni (1509–1519)
Ritornò a Milano – dove era già stato dal giugno all'ottobre 1506 e dal gennaio al settembre 1507, occupandosi fra l'altro del progetto di una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio – nel settembre 1508 abitando nei pressi di San Babila; ottenne per quasi un anno una provvigione di 390 soldi e 200 franchi dal re di Francia. Il 28 aprile 1509 scrisse di aver risolto il problema della quadratura dell'angolo curvilineo e l'anno dopo studiò anatomia con Marcantonio Torre all'università di Pavia.


Il 24 settembre 1514 partì per Roma insieme con Francesco Melzi e Salai; essendo intimo amico di Giuliano de' Medici, fratello del papa Leone X, ottenne di alloggiare negli appartamenti del Belvedere al Vaticano. Non ottenne commissioni pubbliche e se pure ebbe modo di rivedere Bramante e Giuliano di Sangallo, che si stavano occupando della fabbrica di San Pietro, Raffaello, che affrescava gli appartamenti papali e forse anche Michelangelo, dal quale lo divideva un'antica inimicizia, attese solo ai suoi studi di meccanica, di ottica e di matematica e cercò fossili sul vicino Monte Mario, ma si lamentò con Giuliano che gli venissero impediti i suoi studi di anatomia nell'Ospedale di Santo Spirito.

Si occupò del prosciugamento delle paludi pontine - e il suo progetto venne approvato da Leone X il 14 dicembre 1514, ma non fu eseguito per la morte tanto di Giuliano che del papa di lì a pochi anni - e della sistemazione del porto di Civitavecchia.

Secondo il Vasari, durante questa sua breve permanenza a Roma, fece «per messer Baldassarre Turini da Pescia, che era datario di Leone, un quadretto di una Nostra Donna col figliuolo in braccio con infinita diligenza e arte» e ritrasse «un fanciulletto che è bello e grazioso a maraviglia, che sono tutti e due a Pescia», ma delle due opere si è persa ogni traccia.

A Roma cominciò anche a lavorare ad un vecchio progetto, quello degli specchi ustori che dovevano servire a convogliare i raggi del sole per riscaldare una cisterna d'acqua, utile alla propulsione delle macchine. Il progetto però incontrò diverse difficoltà soprattutto perché Leonardo non andava d'accordo con i suoi lavoranti tedeschi, specialisti in specchi, che erano stati fatti arrivare apposta dalla Germania. Contemporaneamente erano ripresi i suoi studi di anatomia, già iniziati a Firenze e Milano, ma questa volta le cose si complicarono: una lettera anonima, inviata probabilmente per vendetta dai due lavoranti tedeschi, lo accusò di stregoneria. In assenza della protezione di Giuliano de' Medici e di fronte ad una situazione pesante, Leonardo si trovò costretto, ancora una volta, ad andarsene. Questa volta aveva deciso di lasciare l'Italia. Era anziano, aveva bisogno di tranquillità e di qualcuno che lo apprezzasse e lo aiutasse.

L'ultima notizia del suo periodo romano data all'agosto 1516, quando misurava le dimensioni della Basilica di San Paolo; nel 1517 Francesco I di Francia lo invitò nel suo paese, dove in maggio, insieme con Francesco Melzi e il servitore Battista de Vilanis, alloggiò nel Castello di Clos-Lucé, vicino ad Amboise, onorato del titolo di premier peintre, architecte, et mecanicien du roi e di una pensione di 5000 scudi.

L'alta considerazione di cui godette è dimostrata anche dalla visita ricevuta, il 10 ottobre, del cardinale d'Aragona e del suo seguito: Leonardo gli mostra «tre quadri, uno di certa donna Fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam mag.co Juliano de Medici, l'altro de San Joane Bap.ta giovane et uno de la Madona et del figliolo che stan posti in grembo di S.ta Anna tucti perfectissimi, et del vero che da lui per esserli venuta certa paralesi ne la dextra, non se ne può expectare più bona cosa. Ha ben facto un creato Milanese chi lavora assai bene, et benché il p.to M. Lunardo non possa colorir con quella dulceza che solea, pur serve a far disegni et insegnar ad altri. Questo gentilhomo ha composto de notomia tanto particularmente con la demonstratione de la pictura sì de membri come de muscoli, nervi, vene, giunture, d'intestini tanto di corpi de homini che de done, de modo non è stato mai facto anchora da altra persona [...] Ha anche composto la natura de l'acque, de diverse machine et altre cose, secondo ha riferito lui, infinità di volumi et tucti in lingua vulgare, quali se vengono in luce saranno proficui et molto dilectevoli».

Progettò il palazzo reale di Romorantin, che Francesco I intendeva erigere per la madre Luisa di Savoia: era il progetto di una cittadina, per la quale prevedette lo spostamento di un fiume che l'arricchisse d'acque e fertilizzi la vicina campagna. Partecipò alle feste per il battesimo del Delfino e a quelle per le nozze di Lorenzo de' Medici.

Il 23 aprile 1519 redasse il testamento davanti al notaio Guglielmo Boreau: dispose di voler essere sepolto nella chiesa di San Fiorentino; a Francesco Melzi, esecutore testamentario, lasciò «li libri [...] et altri Instrumenti et Portracti circa l'arte sua et industria de Pictori»; al servitore De Vilanis e a Salai la metà per ciascuno di «uno iardino che ha fora de le mura de Milano [...] nel quale iardino il prefato Salay ha edificata et constructa una casa»; alla fantesca Maturina dei panni e due ducati; ai fratelli, 400 scudi depositati a Firenze e un podere a Fiesole.

L'uomo che aveva passato tutta la vita «vago di vedere la gran copia delle varie e strane forme fatte dalla artifiziosa natura», da lui assimilata a una gran caverna, nella quale, «stupefatto e ignorante» per la grande oscurità, aveva guardato con «paura e desiderio: paura per la minacciante e scura spilonca, desiderio per vedere se là entro fusse alcuna miracolosa cosa», moriva il 2 maggio 1519. Cinquantanni dopo, violata la tomba, le sue spoglie andarono disperse nei disordini delle lotte religiose fra cattolici e ugonotti.

Trent'anni prima aveva scritto:

« Sì come una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene usata dà lieto morire »


forse per nessun altro quelle parole furono e saranno mai più adeguate.

 
Home La Biografia Gli ultimi anni (1509–1519)